Emma, Matera

Emma, Matera

Toc toc. “Avanti!” “La signora Emma ?” “Si.” “Lei è la prima. Ecco il kit, si prepari, la veniamo a prendere fra un’ora.” Un’ora, ancora un’ora. Un’ora, solo un’ora. Come è vero che tutto è relativo. Guardo il polso d’istinto per fermare questo momento, per far partire il cronometro, ma non ho l’orologio.

Me lo hanno fatto togliere ieri sera, insieme agli orecchini, ai miei due anelli e al ciondolo col pinguino. Guardo la busta di plastica che l’infermiera ha poggiato sul letto e non oso toccarla. Leggo alla rovescia la scritta cubitale: “Kit per intervento. Contiene: 1 camice, 2 gambali, 1 cuffia”. É una busta minuscola: come può contenere tutte queste cose? Mi decido di aprirla. Ho un’ora di tempo ma dopo pochi secondi sono già in bagno a svestirmi per indossare questo ridicolo camice.

È come non avere niente addosso. Con la cuffia e i gambali mi sento la nonna sexy di Cappuccetto rosso. Esco dal bagno e mi infilo sotto le coperte, ho freddo. Sono la prima, ha detto l’infermiera. Che bisogno aveva di dirmelo? Gliel’ho forse detto? Non mi piace l’idea di essere la prima. I medici saranno ancora mezzo addormentati, avranno bevuto abbastanza caffè? Arriveranno trafelati con ancora la notte addosso. E se è stata una brutta serata non avranno avuto il tempo di smaltirla, di dimenticarla. Avrei preferito essere la seconda. Mi piace essere la seconda. A volte conviene anche. Conviene essere la seconda figlia, per esempio, conviene fare gli esami all’università per secondi. I primi servono di rodaggio, i secondi catturano l’attenzione e sorpassano arrivando alla meta.

E poi, nel caso degli esami, c’è anche un sottile discorso psicologico: quale professore metterebbe un 30 alle 9.00 di mattina? Penserebbe di essere un buono o di condizionare l’intero appello. Se ha fatto un buon esame, il primo candidato prenderà un 27, il secondo invece un 30. In amore invece conviene essere secondi… già, in amore. “Si è cambiata?” “Si” dico con voce flebile, pensando che non può essere già passata un’ora. L’infermiera getta uno sguardo fugace nella mi direzione e senza riuscire a trattenere un sorriso dice “Il camice va infilato all’incontrario”. Torno in bagno, mi sfilo la tovaglia di carta e la rinfilo alla rovescia, cioè alla dritta.

Potrei ridere per ore al pensiero dei medici in camera operatoria che mi trovano col camice all’incontrario, ma sono troppo agitata per ridere. Ma forse una risata me la faccio, mi farà bene.